Un’esplosione

Appunti da una missione tecnica in Burkina Faso
5 minuti di lettura

Dott.ssa Fabiana Giacomelli
Senior project manager presso Centro internazionale per la pace fra i popoli Assisi APS

È Yves che mi racconta che la ditta per cui lavorava è stata chiusa perché produceva materiale potenzialmente esplosivo e il Burkina non vuole correre il rischio che questi prodotti possano essere utilizzati dagli estremisti per confezionare i loro attacchi mortali. Così, ora, Yves si è trasferito in capitale a Ouagadougou e l’Agenzia di Sicurezza per cui fa il guardiano di notte anche questo mese è in ritardo con il pagamento del suo salario. Stasera non ha i soldi per la cena ma un amico glieli presta, mi rassicura.

C’è movimento anche sulle strade in capitale, un’esplosione di giovani. Il 60% della popolazione ha meno di 25 anni. C’è energia, speranza ma c’è anche paura. I nostri agronomi impegnati per uno studio di fattibilità a bordo dei loro motorini, all’entrata in villaggio hanno visto le donne scappare. Increduli hanno chiesto spiegazioni. Le donne temevano fossero jihadisti o gruppi irregolari armati. Il Burkina, terra di convivenza, teme, si nasconde, fugge. Sono 2 milioni gli sfollati interni.

Noi restiamo chiusi in capitale e chiediamo ai partner e ai beneficiari dei nostri progetti di raggiungerci. Il personale internazionale in missione di appoggio tecnico, per motivi di sicurezza, non esce dalla capitale. Il clima di insicurezza richiede l’adozione di misure straordinarie di attenzione e prevenzione nella gestione del personale, negli spostamenti. Ai tavoli di lavoro si parla di sicurezza, i muri hanno il filo spinato. I colpi di stato che si sono susseguiti, le incursioni degli estremisti in alcune aree del Paese, la perdita di controllo da parte del governo su porzioni di territorio sempre più estese, espongono il Paese all’insicurezza. Quali prospettive? E nel frattempo esplodono i bisogni.

Constan oggi ha perso un suo petit- frère. Era un volontario arruolatosi per difendere la Patria ed è rimasto ucciso in un attacco. 100 Franchi il risarcimento alla famiglia per la sua morte. È il secondo in pochi mesi. Ed esplode la rabbia.

Nei video delle manifestazioni abbiamo visto sventolare bandiere russe, si sente parlare di Putin e dei cinesi, la Coca Cola è più difficile da trovare, il Burkina Faso ha chiesto il ritiro delle truppe francesi. “È necessario che facciamo il nostro percorso così come voi avete fatto il vostro” mi spiega un professore universitario illuminato. Risponde alle mie perplessità difendendo il principio di autodeterminazione per il suo Paese, anche quello di sbagliare alleanze, anche e soprattutto quello di riequilibrare i rapporti economici e riposizionarsi rispetto alla Francia. E il colpo di Stato in Niger va nella stessa direzione, mi spiega.

Non so se il professore ha ragione. Ma ho come la percezione che alla gente sulla strada e nei villaggi poco importi il desiderio di provvedere all’istruzione dei propri figli, di curare un parente ammalato, di procacciarsi il necessario per mangiare prevale.

È questo il Sahel che esplode.

Ed è qui il nostro posto, quello di una ONG italiana impegnata nella cooperazione a favore di chi è più vulnerabile perché come diceva sempre Luciano, un caro amico, citando J.F. kennedy: “La pace è un processo, un modo di risolvere i problemi. Respiriamo tutti la stessa aria, abbiamo tutti a cuore il futuro dei nostri figli e siamo tutti uguali. Nessun problema del destino dell’uomo è superiore alle nostre forze, la ragione e lo spirito dell’uomo hanno spesso risolto problemi che sembravano insolubili, e siamo convinti che questo sarà ancora possibile”.

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